sabato 31 dicembre 2016

conclusione del percorso e riassunto della serata sulle tecnologie


Siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. L’Albero delle Relazioni edizione 2014-2016 si conclude. E’ stato un percorso ricco, intenso e costruttivo che ha permesso di affrontare temi di attualità e di riflettere sul ruolo educativo dei genitori a tuttotondo. Vogliamo lasciarvi con questo ultimo post, dedicato all’ultima serata informativa tenutasi a Rumo. La relatrice, Serena Valorzi, fedele amica dell’Albero, ha affrontato uno dei temi di maggior interesse per i genitori. L’uso delle tecnologie. Lo ha affrontato portando alla luce come le tecnologie ci modificano, come mutano le nostre abitudini e la nostra struttura mentale. Attraverso una riflessione su noi stessi, è riuscita a farci comprendere l’impatto ancor più intenso sui giovani. Il preciso collegamento a emozioni, relazioni e motivazioni, fa di questo intervento una splendida chiosa del percorso svolto.

Si è partiti da una considerazione chiara e condivisa.

Ogni genitore vorrebbe per i propri figli dare il meglio, insegnare la capacità di pazientare, di desiderare, di creare con l’immaginazione, di autocontrollo, di entrare in relazione con gli altri, di essere felice. Molti credono che dare stimoli tecnologici sia importante, dia una marcia in più ai propri figli, faccia loro apprendere tante cose. Ma le due cose coincidono? Sebbene le tecnologie al mondo d’oggi debbano essere conosciute, siano parte della nostra quotidianità, nascondono insidie che devono essere comprese e non devono mai sostituire le “vecchie, buone abitudini”. Le ricerche dimostrano infatti che l’uso di tecnologie ha un forte impatto su diverse abilità ed emozioni importanti. Ad esempio:

Attenzione e rielaborazione approfondita:  Noi adulti siamo tutti partiti da un’esperienza dove internet, cellulari, smart-phone, non c’erano, dove eravamo abituati a stare attenti e fermi per diverse ore di fronte a un insegnante che spiegava, senza muoversi o senza effetti speciali, senza schermi o altri mezzi d’intrattenimento. Noi siamo stati abituati a mantenere l’attenzione per un lungo periodo di tempo. Siamo anche stati abituati a sviluppare una rielaborazione approfondita,  ricollegando più temi/fonti/informazioni su uno stesso tema. Quando noi eravamo piccoli, siamo stati abituati a fare ricerca leggendo diversi testi su un argomento e rielaborandoli (se non altro cambiando qualche parola o sommando diverse fonti per fare in modo che l’insegnante, che probabilmente conosceva le stesse 2/3 enciclopedie in circolazione, non vedesse che avevamo copiato). Ora il “copia e incolla” che fanno i nostri figli è ben diverso: si è perso il gusto di conoscere ed approfondire. Questo è un grosso danno visto che attenzione e la rielaborazione approfondita sono alla base dell’apprendimento.
Cosa possiamo fare come genitori? Dovremmo aiutare i nostri figli a capire, tra le mille fonti disponibili, a scegliere i siti più coerenti e adeguati per la loro ricerca, e a confrontare dati e informazioni per poi approdare ad un nuovo testo. Solo in questo modo avremmo gli stessi effetti delle nostre ricerche vecchio stile: un nuovo apprendimento, la creazione, nel nostro cervello, di nuove connessioni e nuovi legami. Nello stesso tempo dovremmo coltivare l’attenzione: la lettura, la ricerca di indizi o informazioni in un testo, sono stimoli importanti che possono aiutare.

Tolleranza alla frustrazione e capacità di attendere. Non c’è più la capacità di aspettare, la gestione del tempo, l’ansia, spesso la comunicano anche i genitori o gli educatori a scuola. Non mi prendo lo spazio mentale per poter trovare soluzioni alternative, tutto deve essere “qui e ora”. Anche l’instant messaging non fa altro che aumentare questa ansia: io invio il messaggio, vedo subito se è stato ricevuto, e se non ho subito risposta inizio a pensare al peggio (“è successo qualcosa… ce l’ha con me…”). Solo la risposta mi dà gioia e pace. Se noi abbiamo questa modalità, non possiamo che “insegnarla” anche a nostro figlio.
Questo, emotivamente, sta alla base dei comportamenti di dipendenza: io scrivo, ho una bassa soglia di tolleranza all’attesa (perché non sono più abituata, perché nel nostro cervello si è modificata la struttura e ci porta a non tollerare più l’attesa), sto male e sto meglio solo all’arrivo della risposta. I tempi di attesa sono molto diminuiti, siamo molto più impulsivi, e questo è perché il nostro cervello è cambiato, “grazie” alla tecnologia.
Cosa possiamo fare come genitori? Dovremmo recuperare l’atteggiamento di attesa e serenità dei nostri genitori, e che talvolta non stiamo dando ai nostri figli. Dobbiamo riuscire a dare ai nostri figli questi messaggi rassicuranti che ci davano i nostri (“es. non preoccuparti, l’avrà letto ma starà facendo altro, è una cosa normale…”). Rendiamoci conto che spesso, stiamo dando una serie di informazioni e richieste ai nostri figli, che spesso sono negative: “scrivimi subito appena arrivi”, “fammi sapere cosa stai facendo”. In un certo senso questa richiesta della mamma mi fa capire che attendere non esiste, che sono io a dovermi prendere cura dell’ansia di mia mamma (inversione di ruoli) e che se ho un’ansia, una emozione negativa, devo subito trovare qualcosa che la tampona (il messaggino rassicurante). Dobbiamo gestire prima di tutto le nostre emozioni e risultare esempio di attesa e tranquillità. Per i bambini più piccoli sono utili le routine, che creano spazi e tempi precisi e tranquilli per i vari momenti della giornata.

Tolleranza alla pressione: Tantissimi ragazzi non tollerano neanche un po’ di pressione. Hanno stati ansiosi potenti con una serie di somatizzazioni importanti. Non riescono a tollerare la frustrazione e il pensiero del fallimento. Di fronte a un problema, o a un malessere la tendenza è quella di trovare una soluzione subito, e spesso significa mollare: mi è andato male il compito, cambio scuola; ho litigato col compagno, cambio classe. La soluzione ideale è invece quella di aspettare, riflettere, cercare di trovare una soluzione con calma.
Cosa possiamo fare come genitori? Dovremmo recuperare la capacità di resistere alle difficoltà, di analizzarle con calma per poter trovare una soluzione alternativa.

Autocontrollo: Anche l’autocontrollo ha ripercussioni forti legate all’uso di tecnologie. Ogni genitore sa che non può lasciare un pacchetto di caramelle incustodite con un bambino, perché queste le mangerà tutte (visto che non ha ancora sviluppato l’autocontrollo). Stessa cosa rispetto alle tecnologie. Noi su questo siamo più impreparati, perché ci lasciamo spesso trascinare nel tranello “E’ capace, lo sa far funzionare, non serve che gli faccio vedere prima”. L’autocontrollo è quella capacità che mi fa capire l’utilità o meno del desiderio. Si attiva la parte relazionale che mi permette di inibire l’impulso. E’ flessibile ed in base al contesto può farmi cambiare scelta.
Cosa possiamo fare come genitori? Aiutare a sviluppare la parte razionale che mi permette di contenere il desiderio o di posticiparlo. Anche utilizzare i rituali è utile, perché sono importantissimi per l’autocontrollo, sono una forma di allenamento fantastica.

Relazioni con gli altri: Anche la capacità di entrare in relazione con gli altri viene modificata dall’uso di tecnologie: i ragazzi non vedono più la differenza tra un contatto diretto (vis a vis) e uno indiretto (scrivendosi), ma visto che il primo implica molte più abilità sociali, se non “allenato” viene perso. Le relazioni (il desiderio, la pianificazione, la realizzazione del piano, la solitudine…) si perdono, perché basta andare on-line per sentirsi “vicini”. La solitudine è il modo che la natura ci dà per ricercare contatto vero con l’altro. On line perdo il contatto, la vicinanza, lo sguardo… Questi apparecchi danno la possibilità di fare cose che prima era impensabile fare, che non immaginavamo nemmeno. Ma hanno senso se servono a “creare” a preparare l’incontro vero, non come sostituto. L’intensità è diversa. Pensiamola con una metafora culinaria: il rapporto diretto rispetto al rapporto on line è come mangiare una torta alla panna rispetto al biscottino dietetico. Se io ho mangiato la torta alla panna il biscottino dietetico non mi soddisferà. Se io mangio solo biscottini dietetici, sicuramente mi sembreranno sufficienti, ma per quanti ne mangio non mi daranno mai l’appagamento e il piacere di una fetta di torta alla panna. Quando  ci sentiamo soli, se abbiamo avuto rapporti importanti abbiamo il ricordo del piacere del legame, che mi aiuterà a superare la solitudine, perché sappiamo quanto è forte l’affetto e la vicinanza con l’altro e quanto questo può dare. La mancanza si sentirà ma non mi sentirò vuoto. Se io questa esperienza non l’ho mai vissuta, o l’ho vissuta troppo poco, e mi si toglie la possibilità di incontrarmi sui social, mi sentirò solo e vuoto, se la maggior parte delle relazioni si riducono sui social non avrò un bagaglio di ricordi e sensazioni che mi aiutano per stare da solo bene.
Cosa possiamo fare come genitori? Dare la possibilità di avere relazioni reali e di spendere tempo con gli altri.

La felicità: sembra strano ma anche la felicità è una variabile che pare collegata all’uso di tecnologie. Ma in negativo. Emerge dalle tecnologie un idea di felicità errata: l’immagine che gli altri ci rimandano è sempre di gioia e successo, pare che gli altri siano sempre felici. Questo crea molte difficoltà nel gestire i propri momenti difficili. Nei social network e sponsorizzato tutto quello che appare accettabile, felice, adeguato ecc.; siamo bombardati da stereotipi sulla felicità. Mentre sono demonizzate le emozioni negative per cui si cercano sempre soluzioni rapide e facili: es. psicofarmaci, che può essere utile in certe situazioni, ma non può essere uno strumento di gestione delle emozioni negative. Oggi ve ne è un forte abuso, dato proprio dall’incapacità di gestire in altro modo emozioni negative (ansia, tristezza…). Ricerche recenti dimostrano che l’astinenza da facebook per una settimana rende più felici, meno invidiosi, meno tristi, più spinti alle relazioni alle altre persone. Un effetto molto forte dato da una sola settimana di astinenza da uno solo dei possibili social network. L’uso dei network porta a confrontarsi con esperienze sempre positive di altri che si sommano nella mia mente facendo apparire la mia realtà più squallida e povera di quella degli altri. Il confronto via web non è “naturale”, crea un’invidia bloccata, non costruttiva, mi mostra solo il risultato e non lo sforzo per arrivarci. Quando poi mostro qualcosa di mio, per essere alla pari, pompo la mia esperienza: ed anche questo (non consapevoli che tutti pompano la loro esperienza) mi rimanda un’immagine di me negativa.
Cosa possiamo fare come genitori? Aiutare i figli ad analizzare le informazioni criticamente, a non prendere tutto come oro colato. A riflettere su quello che leggo, e soprattutto a confrontarmi spesso col mondo reale, che mi ridà la dimensione delle cose.

La fantasia e l’immaginazione. Favole o Masha e Orso? La fantasia è una risorsa importante per ognuno di noi. Le tecnologie ne limitano lo sviluppo. Ad esempio, pensiamo alla differenza tra addormentare i propri figli proponendo una favola o lasciando guardare la TV. Le favole la sera servivano per creare immagini mentali, per pazientare in attesa della fine (se la storia era lunga) per sviluppare la capacità di trovare alternative nelle situazioni di difficoltà, di spaziare con la fantasia. Davano inoltre la possibilità di stare con la mamma e il papà, di ritagliarsi un attimo tutto vostro. La favola quieta prima di addormentarsi. Se vedo Masha e Orso, magari sono da sola, la velocità dell’azione è tanta, mi si attiva l’adrenalina, appena finisce ne voglio un altro. Non ho rapporto con l’adulto, e mi perdo la capacità di farmi compagnia da solo (immaginandomi la storia, rivivendone alcuni passaggi…). Masha e Orso non mi danno autocontrollo, non mi aiutano a svilupparlo.
Cosa possiamo fare come genitori? affiancare alle attività normali anche altre specifiche per sviluppare fantasia, creatività, manualità…

Serena Valorzi ha inoltre  proposto diversi casi clinici, che hanno portato a comprendere come:
-      -  di fronte a situazioni estreme, o difficili, avere uno sguardo che tende ad essere giudicante che da una colpa e questo è controproducente. Dare le colpe, alla scuola, ai genitori, non cambia nulla. L’importante è capire il problema che c’è e cercare di affrontarlo ora e evitare che la stessa cosa si ripeta (con altri figli, con altri alunni…); e’ importante fare una fotografia dello stato attuale;
-      -  il pensiero giudicante (su sé stessi in questo caso) collegato alla vergogna, è il principale motivo che porta i genitori a chiedere aiuto quando ormai la situazione è molto grave (e quindi più difficile da gestire);
-     -  l’abuso a internet e la dipendenza sono spesso collegate a reazioni aggressive, ad ogni tentativo di ridurre l’uso da parte di altri, a demotivazione scolastica;
-       tutti i giochi che sono rapidi, colorati, con musichine, tendono a dare dipendenza;
-    -   l’accordo tra i genitori deve essere trovato: solitamente si è su posizioni anche diametralmente diverse, è necessario trovare un accordo, che magari non è l’optimum per uno né per l’altro, ma è una posizione comune.

Dalla animata discussione con i genitori in sala sono emerse diverse riflessioni interessanti:

La tecnologia ha tempi molto stretti. Se pensiamo a tecnologie  attuali, non potevamo immaginare qualche anno fa che in un oggetto così piccolo come uno smartphone si potessero sommare così tante funzioni. Queste novità hanno invaso e pervaso la nostra vita, hanno il potere di modificare il nostro cervello e le nostre abitudini. Se questo è vero per noi, che abbiamo un passato di transizione da “zero tecnologie” a “nuove tecnologie”, e abbiamo vissuto fasi di vita più lente, figuriamoci quale può essere l’impatto sui nostri figli, che fin da subito vi si sono trovati immersi. Tutto quello che noi sappiamo, quello che ci ha dato il nostro passato, non è quello che vivono i nostri figli, i giovani di oggi.
Le tecnologie possono essere strumenti meravigliosi ma possono essere promotori di grosse difficoltà. E’ importante quindi conoscerli e comprenderne le diverse sfaccettature.
E’ importante capire che tutto quello che facciamo e le scelte che mettiamo in atto, ci sono delle ripercussioni sul nostro cervello: se ho memorizzato qualcosa vuol dire che si sono creati nuovi legami nelle cellule del mio cervello. Anche l’uso delle tecnologie ha un impatto sul cervello, molto forte se l’uso è prolungato o limita altre normali attività –es. le relazioni con gli altri- (es. aumenta impulsività, diminuisce la capacità di concentrazione, di autocontrollo, di attenzione.). Il nostro cervello è plastico, muta, non è fisso: questo da genitori è molto rassicurante. C’è sempre modo di “rimodellare” il cervello, di sostenere il cambiamento positivo.
Pensiamo a quanto questi apparecchi hanno modificato il nostro modo di essere: ad esempio, siamo meno abituati a leggere libri e pagine bianche, piene. In internet prediligiamo poco testo, con immagini ecc. L’abitudine cambia il nostro modo di ragionare, la nostra parte emotiva, la nostra capacità di reagire alle cose. Se noi consideriamo quanto i cambiamenti siano forti per noi, che abbiamo vissuto in un'altra epoca (di attese, di contatti lenti, di momenti di pausa e noia) pensate a che impatto questo può avere su chi non ha vissuto quelle epoche senza tecnologia.

Ricordiamoci di quanto conta l’esempio. Siamo noi adulti molto spesso che diamo l’idea ai nostri figli che gli strumenti tecnologici sono importanti, proprio per l’uso che ne facciamo. I piccoli che vedono sempre attenti gli adulti sull’oggetto tecnologico (Tv, telefono, computer), magari dando maggior attenzione a questi strumenti che a loro, oppure ci vedono usare questi strumenti quando siamo impazienti (in attesa di qualcosa, in coda…). I bambini apprendono per significati: gli stiamo dicendo che questi oggetti sono i più importanti, che le relazioni sono meno centrali, che questi apparecchi mi possono dare la calma, mi possono aiutare a superare un momento di stress.

Modello sufficiente: è importante che i genitori siano un modello positivo, nonostante le esperienze e le persone con cui entra a contatto mio figlio, io devo essere per lui modello positivo e sufficiente. Dobbiamo fare una riflessione su come gestiamo la nostra emotività, la nostra ansia.  Se ci pensiamo, prima che arrivassero i cellulari, se si era in ritardo, si arrivava in ritardo, e gli altri aspettavano con una ragionevole tranquillità. Il fatto di essere bombardati da tragedie e pericoli, ed il fatto di non saper più aspettare ci crea ansia in modo esagerato: se non riesco a mettermi sempre in contatto con gli altri entro in ansia.

Esistono pensieri parassiti che dobbiamo riconoscere ed eliminare: es. 1. se abbiamo i cellulare con noi va tutto bene, mentre se il cellulare non c’è chissà cosa può accaderci. Es. 2. I bambini sono bravi e veloci con le tecnologie, quindi non serve aiutarli.

Quanta tecnologia serve ai bambini? I bambini dovrebbero usare “poco poco” la tecnologia, e l’adulto dovrebbe essere presente, sorvegliare ecc. Tendenzialmente si eccede, perché i bambini di fronte a uno schermo, tablet, ecc. stanno buoni, tranquilli, e quindi lasciano il tempo all’adulto di fare altro. “Poco poco” dipende da:
-       che età ha;
-       quali sono le altra attività che fanno nella giornata;
-       cosa li fa stare bene.
Visto che i figli sanno fare molte cose di fronte a uno strumento tecnologico, questo ci porta in modo errato a pensare che siano autonomi. Come genitori dobbiamo sempre dare molta attenzione ai contenuti, attenzione a non lasciarli da soli con internet. Cellulare, tecnologie, video-giochi sarebbe meglio dopo i compiti, perché non è vero che sono un modo per rilassarsi, ma stressano tantissimo, tolgono energie. Stabilite da subito orari e luoghi di utilizzo (non in camera da soli) per avere un accordo preciso.

Tecnologia come handicap. L’uso della tecnologia è un handicap sulle relazioni e sulle autonomie banali (allacciarsi scarpe ecc.) nei bambini. Questo non perché vi sia un effetto diretto, ma perché l’uso della tecnologia toglie tempo all’allenamento naturale che serve per imparare certe cose. Dal punto di vista del mercato sembra esserci una crescita del bisogno, una necessità di utilizzare queste cose. Le ricerche scientifiche invece sottolineano come siano una barriera per le capacità di lettura e di calcolo, difficoltà nelle relazioni, attenzione, ecc. c’è inoltre una tendenza a disinvestire nelle relazioni intime.

La scelta di dare il cellulare dopo i 13 anni è giusta? Prima sarebbe meglio utilizzarlo prima insieme, per instillare pian piano alcune conoscenze:
1.     che è uno strumento potente e che bisogna sapere usare;
2.     che non si può pensare di poterlo usare da solo fin da subito, ma deve esserci un esercizio guidato.
La tendenza è, quando si va avanti con l’età attendendo i fatidici 13 anni, di lasciarlo e basta, senza alcuna gavetta, senza alcuna supervisione. Questo è un grave errore: il fatto che loro siano abili, veloci, capaci ad usarli, li fa apparire autonomi, cosa che non sono. Si insinua poi il problema della privacy: il cellulare appare come il nostro vecchio diario, cosa che però non è. Il diario era scritto per noi, per entrare nelle nostre emozioni, per capirsi. Il cellulare è già di per sé aperto agli altri. Mai e poi mai il diario avrebbe fatto il giro della classe o dell’istituto. Whatsapp è tutta un'altra storia. E’ tutto men che privato. Prima di dare in mano un cellulare serve un periodo di apprendimento, per capirne le conseguenze: es. se mando una foto con whatsapp è come se ne facessi una copia, es. devo usare un linguaggio adeguato quando scrivo in gruppo o quando scrivo direttamente a qualcuno.
Sarebbe importante una introduzione alla tecnologia, dell’apparecchio guidata dai genitori, fin da piccoli. Così è più facile che da grandi abbiano appreso come fare.

Togliere il cellulare per punizione, serve? Se per un breve periodo (1-3 giorni) e a causa, magari di una “trasgressione” delle regole legate al cellulare, può essere utile. A volte i genitori tolgono il cellulare per limitarne l’uso. Se la situazione è già pesante, quasi di abuso o oltre, i ragazzi si sentono persi, perché hanno usato il cellulare per gestire la loro emotività. Senza non capiscono la fonte (e la soluzione) per il loro star male, e questo scatena aggressività aggravando i problemi. Gli adolescenti ora, spesso non sanno dire come si sentono, cosa stanno provando, non desiderano, non hanno bisogni a livello emotivo, sembrano persi. Quando gli si chiede come stanno la risposta è “Bo, normale… non so…”. Questo perché l’uso del cellulare ha tolto tempo per allenarsi e sperimentarsi nel mondo reale: comprendere le proprie emozioni e come gestirle ha bisogno di tempo, di contatti con gli altri, di un lavoro quotidiano. Come visto per le relazioni, togliere i social fa sentire soli e vuoti, ma in un modo esagerato e disperato (proprio perché mancano le risorse delle relazioni vere). Per questo è meglio, in una situazione di alto uso, abuso e dipendenza non togliere del tutto ma regolare, perché la sofferenza sarebbe troppo forte da sopportare. Anche perché spesso questi ragazzi non hanno alternative. Non hanno la forza di rimboccarsi le maniche e reagire, trovare soluzioni.

Tra genitori è importante trovare una visione comune tra marito e moglie.
I genitori possono non essere d’accordo dall’inizio, ma devono trovare, magari anche davanti ai figli, un accordo condiviso. Solo in questo modo il problema può essere affrontato veramente. Il disaccordo crea invece confusione e alimenta il distacco in famiglia.

Essere guida e controllore nel mondo delle tecnologie. Alcuni genitori pensano che quello che fanno i figli su internet siano delle sciocchezze, una semplice perdita di tempo, e quindi tendono a contrastare l’uso: è importante però cercare di capire perché quello che fanno per loro è significativo. Perché lo ritengono importante. Cercate di far fare uno sforzo ai vostri figli del perché per loro una cosa è importante. Il genitore deve poi cercare di entrare nella visione dei figli. E’ importante inoltre essere guida all’inizio: “Ti diamo  il cellulare ma in questo primo periodo ti chiederemo di leggere le cose.” Sapere che in qualche momento qualcuno può leggere dà la sensazione di controllo che serve per moderare i comportamenti. Era un po’ quello che succedeva normalmente nelle strade di paese, vicini, parenti controllavano a distanza. Visto che siamo noi i responsabili del comportamento di nostro figlio è importante esserci. Magari si possono commentare insieme a lui le comunicazioni del gruppo “Che ne pensi?” facendoci notare alcune cose, sono ottime occasioni per ragionare sulle cose, per parlare di sensazioni, di come la pensano delle cose, ecc. Anche rendere partecipi i propri figli delle cose che ci vengono scritte può essere utile. Non è un diario ma una comunicazione condivisa con altri. E’ importante essere comprensivi: “Capisco che ti voglia fare questo per molto tempo, probabilmente io alla tua età avrei fatto peggio…. Ma io non svolgerei il mio ruolo di genitore se ti lasciassi fare come vuoi”.
E’ importante porre regole e limiti di utilizzo, e proporre alternative diverse. Questo permette ai genitori di valorizzare il ruolo dell’autorità, l’accettazione dell’autorevolezza, caratteristiche utilissime nella vita.

Concludendo, noi dobbiamo capire e riflettere su quello che succede a noi, di fronte alle tecnologie, per avere una pallida visione di quello che succede ai nostri figli, che non hanno la struttura mentale e le esperienze passate che abbiamo avuto noi.
Di fronte alle tecnologie dovrei:
1. Pensare a che effetto a su di me: quali “dipendenze” si innescano, quale buone abitudini si perdono
2. pensare a quello che vorrei e non vorrei sul mio piccolo.
Questo può darci una guida, una bussola, nel difficile mondo delle tecnologie.